In virtù degli ultimi dati disponibili, se nel mese di maggio coloro che avevano un impiego lavorativo sono scesi a 22,77 milioni di unità, gli assegni pensionistici erogati sono superiori.
Al 1° gennaio 2019, infatti, la totalità delle pensioni erogate in Italia ammontava a 22,78 milioni.
Se teniamo conto del normale flusso in uscita dal mercato del lavoro da parte di chi ha raggiunto il limite di età e dell’impulso dato dall’introduzione di “quota 100”, successivamente al 1° gennaio dell’anno scorso il numero complessivo delle pensioni è aumentato almeno di 220 mila unità.
Sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“Il sorpasso è avvenuto in questi ultimi mesi. Dopo l’esplosione del Covid, infatti, è seguito un calo dei lavoratori attivi. Con più pensioni che impiegati, operai e autonomi, in futuro non sarà facile garantire la sostenibilità della spesa previdenziale che attualmente supera i 293 miliardi di euro all’anno, pari al 16,6 per cento del Pil.
Con culle vuote e un’età media della popolazione sempre più elevata, nei prossimi decenni avremo una società meno innovativa, meno dinamica e con un livello e una qualità dei consumi interni in costante diminuzione”.
Come se la passano gli altri Paesi
La questione dell’invecchiamento della popolazione non è un problema solo italiano.
Riguarda, purtroppo, la stragrande maggioranza dei paesi più avanzati economicamente. Giappone e Germania, ad esempio, presentano degli indicatori demografici molto simili ai nostri.
Il problema è stato messo all’ordine del giorno addirittura nel G20 tenutosi ad Osaka l’anno scorso che lo ha definito, per la prima volta nella storia, un rischio globale.
Per quali ragioni i grandi della terra si sono occupati di demografia ?
Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è rilevante non solo per le conseguenze sociali ma, come detto, anche per quelle economiche in termini di spesa sanitaria e di sostenibilità del sistema pensionistico.
- “Perché dovrei pensare a integrare la mia pensione visto che ho sempre lavorato e pagato i contributi?”
- “Perché dovrei pensare alla mia pensione se ho 35 anni?”
Ecco perché.
Popolazione e PIL, facciamo due conti
Analizziamo l’effetto dello shock demografico sul reddito prodotto in Italia: il Pil.
(Seguimi bene ora in questi passaggi!)
Uno dei modi per calcolare il Pil consiste nel moltiplicare il numero di persone occupate per il prodotto per occupato, ovvero la “produttività per occupato”.
Se ci sono 1000 persone al lavoro in un paese e ognuna produce beni per 1000 euro, il prodotto totale, il Pil, è di un milione di euro (1000×1000=1.000.000).
Per cui, per capire come influiscono i cambiamenti demografici sul Pil, possiamo chiederci come questi influiscono sul numero di persone al lavoro e sulla produttività di chi lavora.
Cominciamo con il numero di persone al lavoro, che dipende da diversi fattori.
Ad esempio, ci saranno meno occupati se gli imprenditori non assumono perché non pensano di riuscire a vendere, oppure se le persone optano per prendere il Reddito di cittadinanza per non lavorare al posto di cercare lavoro.
Ma il punto di partenza per capire quante persone potenzialmente possono lavorare è verificare quante persone sono in età lavorativa (compresa tra i 16 e i 64 anni).
Se calano le nascite, dopo un po’ calerà anche il numero di persone in età lavorativa.
Le analisi hanno solitamente portato alla conclusione che la produttività di chi lavora è molto influenzata dall’invecchiamento della popolazione.
Per esempio, uno studio econometrico pubblicato da tre economisti del Fondo monetario internazionale, a fine 2016, focalizzato sui paesi europei, conclude che un aumento di un punto percentuale della quota di lavoratori di età compresa tra i 55 e i 64 anni sul totale dei lavoratori è accompagnato da una riduzione della crescita della produttività annua per lavoratore almeno dello 0,25 per cento.
L’Italia, nel 2017, era uno dei paesi che spendeva di più rispetto al Pil per le pensioni.
Una percentuale intorno al 16%. A inizio 2020 la situazione non è cambiata.
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