E se l’Italia fallisse?

E se l’Italia fallisse?

Periodicamente questa è una domanda che mi viene fatta, torna sempre di moda.

È stato così post Brexit, è stato così dopo il fallimento delle banche italiane del 2016, ed è stato così nel 2018 con elezioni ed il crollo delle vecchie forze politiche.

Per non parlare del 2011, quando davvero l’Italia stava per fallire (e insieme a lei diversi debiti sovrani e l’intero progetto europeo), ma i social non erano ancora sviluppati.

Succederà quindi anche alla prossima tensione vera sul paese, che col debito accumulato, il costo dello stesso debito (ai minimi da 10 anni) previsto in ovvio aumento, l’inflazione, la demografia, la produttività, è solo questione di tempo affinché accada.

Tecnicamente, va detto che senza l’ombrello della BCE che ha tenuto il costo del debito molto basso, l’Italia sarebbe già in default da anni.

Ci si dimentica in fretta (negli ultimi 4 anni non se n’è parlato), e altrettanto in fretta ci si spaventa quando il pericolo viene percepito più reale.

Siamo fatti così.

Ti dico la mia.

Seminare eccessivo terrorismo su questa eventualità (al fine poi di vendere una soluzione magica) non fa parte del mio stile e della mia filosofia.

Anche perché non ci sono bacchette magiche.

Vivendo in Italia, e soprattutto avendo in Italia i tuoi interessi, l’onda d’urto di un default arriva pesante.

Perché significa più tasse (sugli immobili, sugli investimenti, sul lavoro, sul patrimonio), significa meno servizi, significa meno pensione, significa meno sanità, significa meno istruzione.

E significa declino e depressione economica, prima di una (potenziale) ricostruzione che potrebbe necessitare di 10-15 anni.

Sugli investimenti finanziari, al netto del fatto che un default di uno Stato sovrano importante come l’Italia genererebbe tensione globale, non vedo questo grande pericolo diretto.

A meno che, ovviamente, non hai BTP in portafoglio, non hai solo azioni italiane in portafoglio o obbligazioni-azioni di banche italiane.

Non ridere di fronte a questo scenario che ho descritto, perché ci sono miliardi depositati così, e sono magari i soldi dei nostri genitori e/o nonni.

Investendo su qualunque fondo adeguatamente diversificato (in questo caso, significa che l’Italia deve pesare meno dell’1% del totale), non esiste alcun rischio reale diretto anche nel caso più terribile di default disordinato e improvviso (poco probabile, peraltro).

Chiaramente, chi ha tutto il proprio patrimonio investito in immobili in Italia (un vero e proprio bancomat per lo Stato), ha solo la pensione pubblica e nessun risparmio, non ha assicurazioni private, non ha competenze reali ma è parcheggiato in qualche azienda pubblica-privata per conoscenze… è ovvio che soffrirà più degli altri.

Chi ha invece un buon capitale umano magari non farà i salti di gioia perché gli aumenteranno l’imposta di bollo, o perché ci sarà un po’ di tensione sui mercati, ma continuerà a lavorare, a farsi pagare, a migliorare, a consumare, a mettere su famiglia.

Insomma, a vivere.

Quindi, tornando al primo concetto espresso, costantemente emergono soluzioni magiche tipo:

– portare soldi all’estero
– comprare lingotti d’oro
– cambiare tutto in criptovalute.

E altre soluzioni fantascientifiche di questo tipo.

Che non è detto siano sbagliate in sé, come “valvola di sfogo assicurativa” per scenari catastrofici, e chiaramente con qualche spicciolo di patrimonio.

Diventano sbagliate, infantili e sciocche quando vengono proposte come soluzioni che mettono al riparo da tutto.

Non funziona così.

Vuoi mettere i soldi all’estero così da scampare una eventuale imposta patrimoniale?

Sbagliato, perché devi dichiarare i conti esteri, e quindi ci paghi comunque l’imposta di bollo.
(Se non lo fai è comunque evasione, una strategia che prevede un illecito sinceramente non è una strategia).

Vuoi mettere i soldi in criptovalute per lo stesso motivo?

È notizia di questi giorni che verrà istituito un registro degli exchange di cripto autorizzati (non si capisce bene cosa succederà a quelli che non richiederanno autorizzazione), e i dati dei clienti andranno dritti dritti all’anagrafiche fiscale.

Come qualunque “assicurazione“, hanno un prezzo da pagare.

Può essere un “rischio cambio” se in diversa valuta (che si apprezza sul tuo euro), un “rischio di mercato” se l’asset va giù (o pensi che oro e criptovalute siano stabili?), un “rischio di controparte” se l’intermediario è minore e con scarse garanzie.
Risiedere in uno Stato significa, ahimè, accettarne le condizioni che volta per volta vengono decise dall’alto.

L’alternativa quindi è… cambiare vita, se proprio non ti riconosci più nel sistema sociale di una nazione, o nel suo trend economico.

Fortunatamente, è ancora una scelta che un individuo e la sua famiglia può fare. L’hanno fatto i nostri nonni e genitori, lo sta facendo la nostra generazione, è una cosa anche normale da un certo punto di vista.

I flussi migratori per andar via da luoghi inospitali fanno parte della storia dell’uomo.

Attenzione… Non ho scritto “cambiare residenza“. Non esiste fare impicci con residenze false in qualche paradiso fiscale o cose così.

Perché:
1. ti trovano subito e le conseguenze non sono piacevoli
2. tutta l’architettura ti costa più di quello che rischieresti in caso di default.

Chiaramente non è una scelta di poco conto, cambiare nazione o continente, soprattutto per persone adulte, con famiglia, affetti e altre cose che lo spingono a orbitare attorno all’Italia.

Non ho molto altro da aggiungere, anche perché non è mia materia.

Il mio invito è dunque quello di iniziare a renderti il più possibile antifragile, acquisendo competenze e abilità davvero utili, spendibili ed essenziali per la realtà in cui viviamo.

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