Le varie riforme pensionistiche (Dini, Amato, Prodi, Fornero) hanno cercato di mettere una pezza. Ma non c’è alcun modo di poter risolvere questa situazione.
Il buco accumulato è troppo grande (per tapparlo, l’unica soluzione è tagliare le pensioni già riconosciute, e nessun Governo lo potrà mai fare, pena il suicidio politico) e la demografia negativa è una forza secolare troppo forte.
Veniamo ai dati.
Nel 2019 sono stati spesi dalle Amministrazioni pubbliche quasi 479 miliardi per sollevare le famiglie da rischi, eventi o bisogni inclusi nella protezione sociale.
Le prestazioni sociali fornite alle famiglie dallo Stato hanno assorbito il 59,1% dell’intera spesa pubblica italiana.
Al confronto con il 2012, l’aumento è pari a circa il 9%, essenzialmente imputabile alle tre voci principali: assistenza, sanità e pensioni.
La maggior parte delle prestazioni sociali erogate in Italia riguardano le pensioni con il 66,3%, (317,5 miliardi di euro), il 22,7% prestazioni di tipo sanitario (circa 108,5 miliardi) e solo l’11% di assistenza sociale (52 miliardi).
L’Italia si trova in uno scenario che mette seriamente a rischio la tenuta del sistema pensionistico, a maggior ragione se si considera che ormai da troppi anni il nostro Paese è caratterizzato da una crescita economica prossima allo zero.
Programmare il proprio futuro pensionistico diventa così fondamentale per ogni lavoratore.
Oggi integrare la pensione pubblica è fondamentale.
In caso contrario sarà difficile mantenere un adeguato tenore di vita una volta terminata l’attività lavorativa.
Siamo in presenza di cambiamenti strutturali che non rendono sostenibile il nostro sistema pensionistico.
Nonostante abbiamo i dati davanti agli occhi, andando a guardare i dati della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sulla previdenza complementare in Italia, ci si accorge che solo 1 italiano su 4 sta prendendo dei provvedimenti concreti per integrare la propria pensione.
Tuttavia, anche chi contribuisce lo fa spesso molto tardi, in maniera insufficiente e con cadenza irregolare.
Sempre la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) fa emergere come, tra i pochi che si interessano di integrare la pensione, la maggioranza utilizza fonti bilanciati o “garantiti” su Obbligazioni.
Un dato probabilmente influenzato più dall’offerta che dalla domanda.
Perché, ritorno a dire, dopo aver analizzato in dettaglio i rendimenti dei Titoli di Stato, investire in questo modo è completamente sbagliato.
Perché non si pensa alla pensione?
Per due motivi.
- Il primo è perché c’è la forte credenza (che viene dal passato) che lo Stato possa mantenerci e farci vivere di rendita (la pensione è una rendita) grazie ai contributi pagati dai giovani che entrano nel mondo del lavoro.
Vorrei tanto che fosse vero, ma vedremo a breve come questa sia solo un’illusione, o meglio una cosa che fino a poco tempo fa funzionava, che ora sta raschiando il fondo e che in un futuro non troppo lontano non funzionerà più.
- Il secondo motivo è l’idea che la pensione sia, in un certo senso, un periodo in cui tirare i remi in barca e restare chiusi in casa rinunciando a ogni svago e passione.
“Vado in pensione a 65 anni con 0 risparmi, tanto quanto mi resterà ancora…”
Ti do un dato, con l’aspettativa di vita che cresce, gli italiani passeranno circa un terzo della loro vita in pensione.
Esiste solo una soluzione.
Ed è ovviamente una soluzione individuale.
La soluzione è diventare indipendenti da questo sistema.
Certo che comprendere il problema è la prima parte della soluzione.
Ma il punto è che, come abbiamo visto, serve un processo per costruire la tua personale strategia di finanza personale, che ti permetta di costruire la pensione per i fatti tuoi e non badare all’INPS.
Tra 30 anni (o magari tra 20, o 10, o 5, a seconda della tua età) sarà troppo tardi per pensarci. |