L’INPS è una truffa!

Perchè considero l’INPS una truffa? Lo so, suona forte.

Te lo racconto qui, perchè voglio tu ne prenda conoscenza e consapevolezza, da poter poi promuovere con la tua sfera di contatti.

Andiamo con ordine, velocemente, partendo dal 1992…
quando, in Italia, iniziò un’inversione di trend riguardante le prestazioni pensionistiche.

Fino a quella data, l’INPS aveva elargito, per decenni, agevolazioni di varia natura:
età di pensionamento sempre più anticipate (qui le baby pensioni con 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno di contribuzione rappresentano la “perla” più preziosa), prestazioni sempre più generose, deroghe concesse ad interminabili categorie di lavoratori e tanto altro potrei scrivere.

Poi qualcosa è cambiato.

La riforma Amato prima e soprattutto la riforma Dini poi – con l’introduzione del meccanismo di calcolo contributivo per tutti coloro i quali avessero iniziato a lavorare a partire dal 01.01.1996 – hanno delineato un percorso restrittivo, reso ancora più marcato dalla riforma Fornero del 2012.

La domanda spontanea è: se queste riforme sono più austere e puntano al rigore ed al controllo dei conti pubblici, perché mai dovremmo preoccuparci allora del primo pilastro pensionistico? (Perchè sono 3 i nostri pilastri pensionistici, ma di questo ti parlerò in seguito)

Per almeno due motivi.

Il primo:
queste riforme hanno bisogno di tempo, di molto tempo per produrre effetti benefici. Il contributivo puro andrà a pieno regime non prima del 2040, secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato. 2040 capisci?!?

E stiamo parlando nella migliore delle ipotesi, cioè quella in cui queste riforme non siano messe continuamente in discussione, cosa che, al contrario, avviene continuamente in larga parte dell’opinione pubblica (!!!), ma soprattutto vengono minate alla base con un ginepraio di ulteriori norme che rappresentano deroghe ai principi contenuti in quelle stesse riforme (quota 100, opzione donna e tutte le situazioni che consentono di andare oggi in pensione prima di quanto stabilito dalle riforme strutturali e che dunque accentuano la spesa pubblica previdenziale).

In Italia l’età pensionabile per il regime di vecchiaia è fissata al momento a 67 anni, ma l’età effettiva di uscita è di poco superiore ai 63.

Il secondo motivo, ancora più importante:
il primo pilastro pensionistico in Italia è basato sul principio della ripartizione:
i contributi versati, che rappresentano dunque una parte del reddito da lavoro, vengono utilizzati per pagare le prestazioni odierne di chi è in pensione.

Non solo: questa fetta di contributi prelevati da chi lavora sono funzionali anche al pagamento di altre spese, come cassa integrazione, pensioni di reversibilità ed altre prestazioni assistenziali.

Ma affinchè un sistema a ripartizione sia sostenibile occorrono condizioni ben precise, di natura demografica ed economica.

Serve che la forza lavoro sia in crescita, che ci siano le prospettive di una popolazione in aumento in grado di garantire l’equilibrio finanziario pagando quanto dovuto a chi invecchia.
Serve che il sistema economico funzioni bene, con elevati livelli di produttività e di occupazione: queste condizioni alimentano infatti la possibilità di prelevare somme percentualmente piccole – o comunque sostenibili – da chi lavora, e riducono allo stesso tempo la necessità di destinare risorse agli ammortizzatori sociali (che sarebbero residuali in un sistema efficiente).

Tutto questo, in Italia, non esiste.

Anzi, lo scenario demografico ed economico racconta una realtà esattamente opposta: l’indice di vecchiaia (rapporto tra popolazione over 65 e popolazione 0-15 anni) è sempre più alta e sfiora il 170% rendendo impossibile l’equilibrio finanziario del sistema, la fertilità è ai minimi storici e non ci sono segnali di inversione, la disoccupazione permane su livelli molto alti specie se confrontata a quella di altri paesi occidentali, la produttività è il tallone d’Achille dell’impresa italiana da molti decenni.

Con queste premesse, i numeri parlano chiaro: la spesa pensionistica in Italia è la seconda più alta nei Paesi OCSE, dietro alla sola Grecia. E le prospettive di un Paese economicamente stagnante, demograficamente in ritirata e finanziariamente sempre precario a causa di un debito pubblico crescente non possono che generare preoccupazione per il futuro (fonte Osservatorio Conti Pubblici Italiani, Università Cattolica, 2018).

Ecco perché, in sintesi, dovremmo preoccuparci del sistema previdenziale italiano.

Se poi non fosse sufficiente, ci sono le prospettive future che ci aiutano ad avere un quadro ancor più preciso.

Ma di questo te ne parlerò la prossima settimana, intanto rifletti bene su questo per te, per i tuoi figli e per i tuoi nipoti…

Ne vale del tuo e del loro futuro.

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